Welfare e Pandemia: quali saranno gli effetti sul welfare?

Welfare e Pandemia: quali saranno gli effetti sul welfare?

Torniamo a parlare degli effetti della pandemia che stiamo vivendo, grazie ad un intervista di Fabio Streliotto, amministratore di Innova srl, rilasciata per Local Area Network. Novità tecnologiche per il welfare, programmi di welfare territoriale e terzo welfare sono le tematiche che vengono affrontante e che portano alla luce nuove soluzioni e nuove necessità.
Fabio Streliotto, fondatore e tutt’ora amministratore di Innova srl, una società protagonista della digitalizzazione del secondo welfare, del welfare aziendale e di importanti programmi di welfare territoriale, quale idea ti sei fatto degli effetti dell’epidemia Covid 19?
Gli effetti a medio termine non saranno uniformi. Dividerei per grandi categorie i soggetti. I cittadini vivranno una grande trasformazione, soprattutto nelle abitudini dei consumi e dell’uso dei servizi. Per i soggetti istituzionali il discorso è un po’ diverso. Solo alcuni Comuni, per esempio, si stanno già organizzando per pensare al “dopo” e pianificano dei cambiamenti. Altri proseguono come prima, vedo un certo fenomeno di particolarismo di ritorno; mi faccio le mie cose e al più cerco di darmi visibilità. Non serve più. Oggi bisogna pianificare azioni condivise, inclusive e sostituire alla ricerca della visibilità la misurazione dell’efficacia di queste azioni.
Il tuo osservatorio privilegiato è naturalmente quello tecnologico rispetto al quale sei sempre stato coerentemente un militante, oserei dire, con una forte impronta sociale. Per le esperienze che hai condotto quali saranno le maggiori conseguenze dell’epidemia sulle tecnologie a servizio del welfare?
È già da tempo, quindi anche da prima della diffusione del Coronavirus, che osservavo due processi. Il primo è quello della proliferazione davvero imponente delle piattaforme per il welfare aziendale. Ciò ha indotto una sorta di appiattimento verso il basso dell’offerta, ovviamente a causa della compressione dei costi che le aziende chiedono a chi fa il servizio. Il secondo processo, invece, consiste in una corporativizzazione dell’uso delle piattaforme, che le ha derubricate da strumenti in meri prodotti. Per corporativizzazione intendo una logica proprietaria rispetto alla piattaforma, che viene soggetta a una perimetrazione in funzione esclusiva. Questo stride con il potenziale ben più ricco dello strumento, rispetto al prodotto, ovvero il valore aggiunto correlato alla condivisione. Ebbene, dal mio punto di vista bisogna informare bene sulle differenze di valore dei servizi contrastando la tendenza alla banalizzazione dell’offerta per farla costare il meno possibile; e, insieme, bisogna mantenere il profilo di strumento proprio della piattaforma, che è fatto per dialogare e integrarsi, il valore della condivisione share, con altre piattaforme, finalizzate alla centralità dell’utente. Proprio per questo stiamo sviluppando con Innova una piattaforma che definirei di “welfare 4.0”, non uno strumento chiuso come le altre piattaforme sul mercato ma uno strumento versatile, smart, che sappia accogliere diverse piattaforme e cogliere diverse esigenze.
Questa newsletter è dedicata al welfare territoriale di comunità. Mi preme molto approfondire il rapporto tra terzo settore e welfare anche in rapporto alle tecnologie dell’informazione.
Prima di fare questo mestiere ho lavorato nella cooperazione sociale, precisamente in una coop che si occupava di minori. Quindi ho lo stigma di questa appartenenza, che ha una radice culturale molto caratterizzata. Ho sempre puntato a ragionare di innovazione tecnologica in chiave sociale anche con rappresentanze e consorzi di questo settore. Non è un mondo semplice. Anche in questo caso ho osservato quella logica di farsi le cose per sé, senza rischiare un po’ lavorando su strumenti condivisi. Ma, ripeto, questa gelosia contrasta fortemente con i potenziali intrinsecamente generatori di valore delle tecnologie quando si lavora in modo condiviso e sui grandi numeri. La concorrenza in questo campo è ormai fortissima, ci sono soggetti anche multinazionali che hanno capacità finanziarie e competenze umane che sanno muoversi fin troppo bene. Il progetto WelfareNet, pionieristico, si muoveva in una logica di rete e di condivisione, attraverso l’apertura di WelfarePoint, i nodi territoriali, che pensavo di far vivere con rapporti di collaborazione con i consorzi di cooperative che caratterizzavano ogni ambito territoriale. Questo perché il disegno deve essere unitario, ma la costruzione della rete deve partire dal basso, portando a far interagire i rapporti fiduciari che esistono già nei territori, abbandonando invece la logica top down, che ha portato in un vicolo cieco già diverse iniziative. Inoltre il progetto dev’essere sostenibile, non può reggersi solo perché beneficia per un anno, due di un finanziamento pubblico o di un bando di un ente filantropico. In Italia ci sono diversi esempi di piattaforme gestite con una logica proprietaria, sono le vetrine online della propria offerta. Niente di male, certo, ma in questo modo si rischia di non sfruttare a pieno il potenziale sociale di queste tecnologie.
All’inizio dicevi che ci sono dei timidi segnali di cambiamento di impostazione. A chi ti riferivi?
La volontà di scegliere opzioni tecnologiche aperte è possibile con un disegno di collaborazione tra i soggetti senza chiudersi nei propri steccati territoriali o settoriali. Ciò è perfettamente coerente con la riforma del terzo settore, che punta alla co-programmazione, alla co-progettazione. Possono fare molto in questa direzione i Comuni, la Regione con Veneto Welfare e le Fondazioni di origine bancaria. Penso al caso della Fondazione CaRiPlo in Lombardia, certo con grandi dotazioni finanziarie, che ha scelto consapevolmente la logica del catalizzatore: “vi finanzio se vi mettete insieme”.
Mi sembra che qui si ritorna al terzo settore e alla necessità di innovazione in chiave di coinvolgimento e apertura.
Non basta mettersi insieme. Se da una parte abbiamo sicuramente bisogno di stimolare una governance condivisa, dall’altra abbiamo bisogno di lavorare sull’innovazione degli strumenti: è meglio annidarsi in piattaforme esistenti, come nel caso del welfare aziendale, oppure crearne di alternative che siano a propria immagine e somiglianza? Personalmente dico che serve percorrere una terza via, ovvero quella di creare una piattaforma che da un lato permetta di connettere le piattaforme esistenti e dall’altro sia aperta a nuovi ed inediti strumenti adeguati alle diverse esigenze degli attori del welfare, alle particolarità di ogni territorio e alle esigenze di ogni singolo cittadino.  Abbiamo bisogno di un approccio e di strumenti adeguati a costruire il “welfare frattale”.

 

*Il presente articolo è stato pubblicato sulla newsletter di LAN – Local Area Network, 20 aprile 2020