Gli effetti di COVID-19 sulla spesa pensionistica e sul bilancio INPS
Riportiamo di seguito l’articolo di Alberto Brambilla e Antonietta Mundo pubblicato da Il Punto – Pensioni e Lavoro dedicato alle conseguenze della pandemia su spesa pensionistica e bilancio INPS
Il 2020 in Italia, complice la pandemia da SARS-CoV-2, è stato un anno record per i decessi che, considerando tutte le cause di morte è il più elevato dal secondo dopoguerra, 746.146 decessi. Rispetto alla media registrata tra il 2015-2019, pari a 645.619, si è verificato un “eccesso di mortalità” di 100.526 unità (il 15,6% in più), delle quali 75.891 – probabilmente sottostimate – sono state ufficialmente attribuite a COVID-19 tra febbraio e dicembre 2020, secondo i dati registrati dall’Istituto Superiore di Sanità. L’eccesso di mortalità ha inciso prevalentemente sulla popolazione più anziana, mentre per quella più giovane (under 49) si è registrato addirittura un decremento, probabilmente dovuto ai vari lockdown che hanno implicitamente diminuito gli incidenti stradali e gli infortuni sul lavoro.
Tutto ciò ha avuto notevoli effetti sul sistema pensionistico INPS, con conseguente cancellazione di numerose pensioni proprio a causa della morte degli anziani. Volendo stimare una quantificazione degli effetti finanziari, si è proceduto a escludere dai 100.527 deceduti in più i soggetti con età inferiore ai 65 anni, per cui si sono considerati solo i 96.818 deceduti, quasi certamente già pensionati, con età uguale o superiore a 65 anni, pari 96,3% dell’eccesso di mortalità complessiva; morti che Istat e ISS segnalano nei loro report suddivisi in due gruppi senza distinzione di genere: il primo dai 65 ai 79 anni, con 20.110 decessi, e il secondo da 80 e più anni, con 76.708 deceduti. Per calcolare l’impatto della minore spesa pensionistica, a questi sfortunati gruppi di anziani è stato attribuito il reddito medio annuo lordo pubblicato dall’INPS nel Casellario dei pensionati e sono state applicate le probabilità che la pensione della persona deceduta possa aver dato luogo a un trattamento di reversibilità, cui è stata applicata un’aliquota media di reversibilità nell’ipotesi dell’esistenza o meno di reddito proprio del coniuge superstite (si è inoltre tenuto conto della differenza media di età tra i coniugi).
La riduzione della spesa pensionistica così calcolata per il 2020 – pari a 1,11 miliardi di euro – è stata proiettata per il decennio 2020-2029 sulla base delle aspettative di vita rilevata dalle tavole di mortalità Istat 2019, nell’ipotesi – molto realistica – che le persone decedute in anticipo rispetto al normale andamento della mortalità abbiano perso numerosi anni di vita. Sulla base delle tavole di mortalità Istat 2019, un anno libero dalla pandemia, gli anni di vita potenzialmente persi a causa della premorienza dai 96.818 ultra-64enni deceduti in più sono stati in media circa 13 anni per i 20.110 morti con 65-79 anni di età e circa 7 anni per i 76.708 morti con 80 e più anni.
È stata inoltre stimata la sopravvivenza statistica dei coniugi superstiti. L’entità della minore spesa pensionstica complessiva nel decennio 2020-2029, al netto delle nuove reversibilità, è risultata per il bilancio dell’INPS di circa 11,9 miliardi di euro; a queste minori spese (risparmi nelle uscite per prestazioni) si dovranno aggiungere quelle relative al 2021, una volta resi noti i dati per genere e classe di età dell’eccesso di mortalità complessiva rispetto alla media 2015-2019. Già nel 2018 era stato raggiunto il numero minimo di pensionati degli ultimi 25 anni con 16.004.000 persone in quiescenza. Nel 2019, nonostante Quota 100 e le altre misure di pensionamento anticipato, tra cui APE sociale e opzione donna (pari a circa 200.000 anticipazioni), il numero di pensionati è aumentato di sole 30mila unità.
Con molta probabilità nel 2020, l’effetto combinato del ricorso a Quota 100 e altre anticipazioni – con circa 155mila liquidazioni in più e della pandemia – manterranno molto contenuto, rispetto alle previsioni, l’incremento del numero dei pensionati anche perché occorre considerare, come accaduto negli anni precedenti, che sono in pagamento dal lontano 1980 (o più) vale a dire da oltre 40 anni, più di 565.000 pensioni e da 35 anni e più ben 1.030.000, anno dopo anno soggette ad ampie cancellazioni per le età molto avanzate dei percettori.
Fonte: Il Punto – Pensioni e Lavoro