Perché la disuguaglianza di genere fa male?

Perché la disuguaglianza di genere fa male?

Il concetto di gender mainstreaming si riferisce all’attività di riorganizzazione, miglioramento, sviluppo e valutazione dei processi di policy finalizzata ad inserire la parità di genere in tutte le politiche, a tutti i livelli e a ogni fase dagli attori che normalmente sono coinvolti nei processi di policy-making. Questo concetto, oltre ad essere relativamente recente (individuato come strumento privilegiato per superare le disuguaglianze di genere durante la Conferenza ONU di Pechino nel 1995 e introdotto in Italia con il DPCM Prodi – Finocchiaro nel 1997), sottolinea l’importanza di superare la prospettiva etnocentrista concentrata esclusivamente sulle disuguaglianze vissute dalle donne, per adottare un’idea di disuguaglianza di genere più ampia che si inserisca in tutti i livelli della società.

La necessità di adottare strategie utili a contrastare la disparità di genere è evidente se si considera il meccanismo per il quale da un lato le donne sono maggiormente orientate ad adottare elementi stereotipicamente maschili, dall’altro gli uomini risultano intrappolati nella gabbia del maschio forte, macho e virile, cresciuto apparentemente inarrestabile senza accorgersi che, nel farlo, si sia dovuto adattare ad un percorso preciso, come una pianta che cresce attorcigliandosi e schivando gli ostacoli pur di arrivare alla luce.
A tal proposito, gli uomini fanno molta più fatica delle donne a mettere in discussione la loro identità e le pressioni sociali che ne derivano, anche perché è più facile non porsi domande e adottare una prospettiva più passiva rispetto alle novità. Le donne invece, attraverso il femminismo, decostruiscono il concetto dell’essere donna e delle implicazioni che ne derivano da anni.

E allora perché non si è creato un movimento e un dibattito simile a quello femminista?
Se vogliamo approfondire questo tema è innanzitutto necessario notare come l’origine di questa differenza e la ridotta capacità di messa in discussione sia originata da un contesto culturale, sociale ed economico in cui gli uomini si sono sempre trovati in una condizione favorevole. Questa condizione di privilegio ha contribuito e contribuisce tuttora a nascondere gli stereotipi che rinchiudono gli uomini in quella gabbia in cui i condizionamenti sono meno visibili e più interiorizzati. Ma è importante riconoscere che il maschile è normato come il concetto di femminile.

È inoltre difficile riconoscere come la disuguaglianza di genere condizioni e danneggi anche agli uomini: vi è infatti l’illusione diffusa della libertà degli uomini nei pensieri e nei gesti, l’idea che il mondo sia a loro a disposizione per realizzare i loro desideri, e la convinzione di essere al di sopra delle costrizioni e delle imposizioni legate al genere. Questa errata convinzione implica pertanto l’idea di avere libertà assoluta e un potere personale illimitato.

Quali sono quindi gli stereotipi associati all’essere maschio?
Possiamo delinearne alcuni, tra i quali:

  • incarnare una forma di autorità, di potere o di talento;
  • essere affettivamente autonomo, non avere bisogno degli altri per stare bene;
  • avere fiducia in se stessi, dimostrando di non temere nessuno né il giudizio altrui.

Questi e molti altri stereotipi accompagnano la vita di un’uomo fin dalla prima infanzia. Gli uomini che hanno comportamenti ritenuti deboli, sensibili o poco virili, che dimostrano di avere paura, non solo non vengono trattati con rispetto, ma sono etichettati come una “femminuccia” o una “donnicciola”. La loro mascolinità viene quindi messa in discussione, derisa, attribuendogli elementi anatomici femminili o dandogli apertamente della donna con un’aperta volontà di sminuire la persona.

Le cose però ora stanno cambiando?
Sempre più uomini, dopo l’apertura femminista, si chiedono come i ruoli di genere a cui sono stati assegnati li condizionano nel loro quotidiano e come le oppressioni, in una prospettiva intersezionale, “agiscono sul nostro corpo a seconda dei differenti modi in cui il nostro corpo è” e quindi come superare queste oppressioni.

Ecco che assume un’importanza fondamentale l’educazione all’affettività e all’emotività nelle scuole, nelle case, negli spazi che le persone dedicano al tempo libero, ma anche nella televisione, nei social media, dove gli adolescenti trascorrono gran parte delle loro giornate. I sentimenti non nascono al di fuori del contesto, anzi, è proprio il contesto che ci orienta verso il comportamento e l’esternazione delle emozioni, che se per gli uomini, come abbiamo visto, rappresenta una caratteristica denigratoria, per le donne rappresenta una delle poche sfere su cui possono e devono esprimersi.

Rispetto al tema, è dunque fondamentale riconoscere la relazione tra stereotipi e pregiudizi che coinvolgono sia uomini sia donne e comprendere come questi siano influenzati e riflettano le strutture di potere, le disuguaglianze e le ideologie presenti nella società e sfidare l’idea che un padre lavoratore che decide di dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli sia reputato come irresponsabile nei confronti del proprio lavoro oppure tollerato perché considerato un’eccezione.